PACE PREVENTIVA

 

Pace. Probabilmente è l’espressione protagonista degli ultimi mesi: l’abbiamo sentita inondare le piazze, l’abbiamo vista sventolare sui balconi e l’abbiamo percepita in pericolo… ma cos’è la pace?

La risposta istintiva è che sia il contrario, l’opposto della guerra, ma è la definizione esatta? Non risulta forse riduttiva?

La pace è molto di più. In Iraq, anche precedentemente alla caduta della prima bomba, non vi era pace; nella maggior parte del mondo, anche negli USA e in Europa, molto spesso non vi è pace…

Questa parola include in sé l’essenza stessa dell’uomo, è perciò vita, deve essere quindi legata a doppio filo con quei concetti come libertà, dignità, uguaglianza, rispetto dei diritti, che danno compimento all’esistenza di ciò che arricchisce questo mondo.

Purtroppo, ci accorgiamo di quanto la pace sia importante per noi solamente quando vediamo incombere la guerra.

Ma cos’è la guerra? La guerra è ed è sempre stata un metodo rapido, e per certi versi semplice, per arrivare a obbiettivi politico-economici, nascosti all’opinione pubblica da un velo di ideologie luccicanti.

Ogni guerra ha come motivo di fondo interessi e ricchezze di vario genere: minerarie, geografiche, umane, e tutte hanno una copertura di ideali a cui l’opinione pubblica è particolarmente sensibile o resa sensibile.

E’ una lunga e resistente catena di ingiustizie, fallimenti e violenze che pesano solamente sulle spalle dei civili.

Fino alla prima guerra mondiale il 90% delle vittime delle guerre erano militari, il 10% di vittime civili poteva essere collegato a errori. Nelle guerre attuali il 90% delle vittime sono civili, il 10% di vittime militari.

La morte di migliaia di innocenti, falcidiati da bombe, mine e crisi igienico-sanitarie, rientra tra gli “effetti collaterali” dei conflitti; i civili si trovano quindi ad essere solamente una cifra, come tante altre, sul tavolo di chi comanda.

Gli spettatori della guerra, coloro che possono solo assistere e ne subiscono le maggiori conseguenze, sono sempre i perdenti, perché la guerra scatena un circolo di violenza che si autoalimenta proprio col sangue di vittime innocenti.

A questo punto si può ampliare il concetto di guerra, comprendendo non solo quella combattuta con le armi tradizionali, ma anche con la dominazione economica e culturale, che produce, nelle popolazioni vittime, un continuo accumulo di rabbia e frustrazione che prima o poi trabocca in forme di reazione che comprendono anche lotte armate e terrorismo, che a loro volta scatenano altre risposte militari.

Si comprende quindi che la guerra non risolve i problemi del nostro pianeta, anzi li nutre, si rende necessario perciò un intervento “a monte”.

Se infatti, il nostro stile di vita (consumi, energia…) per poter sopravvivere ha bisogno di condizioni ingiuste (riguardanti le relazioni tra i popoli e con la natura) nelle quali affondano le loro radici le guerre, sarà necessaria una nostra partecipazione a mettere in discussione un sistema politico, economico, sociale, culturale ed ecologico che rende necessari i conflitti.

Arrivati a questo punto, diviene fondamentale abbattere il muro di indifferenza che sostiene la stanza senza finestre nella quale ci siamo rinchiusi, e osservare così lo stato del nostro pianeta morente, per poi esprimere la nostra contrarietà alla situazione attuale.

In questo senso qualcosa si è già mosso, anche nel mare di male che questa guerra ha portato: vi è stata una goccia di positività, qualcosa si è mosso, milioni di persone nel mondo hanno manifestato il loro disprezzo alla guerra e alle sue cause, vi è stata quindi una presa di coscienza.

Molti dicono che tutte le manifestazioni, le bandiere e gli straccetti di Emergency sono stati inutili, non hanno fermato le bombe, alla fine la guerra è stata fatta lo stesso… Ma inutili sassolini in riva ad un fiume, insieme formano un argine… Chi può sapere se una cosa è inutile? Quando si ferma il cronometro e si contano i punti?

 

Enrico Lista