di Enrico Lista

MOMENTI OLIMPICI

“Fabris! Bravo! Bravo! Gold Medal”. Queste parole di elogio sono state pronunciate da tre tifosi statunitensi all’uscita del Oval Lingotto, dopo la gara dei 1500 metri pattinaggio velocità delle Olimpiadi di Torino 2006. I destinatari erano quattro ragazzi (i protagonisti di questa storia) ubriachi di felicità e con il tricolore dipinto in volto. Dopo una gara risolta sul filo dei millesimi, che ha visto i pattinatori americani relegati ai due gradini minori del podio, proprio dei supporters di Chad Hedrick (accessoriati con tanto di maglietta del fan club), la medaglia di bronzo di quella gara, hanno lasciato da parte la delusione per il risultato del loro beniamino e hanno festeggiato l’avversario. Erano all’Olimpiade, avevano assistito ad una gara straordinaria, in un clima festoso: la festa era di tutti. Pochi minuti prima, i quattro ragazzi di qui cui sopra, puntavano gli occhi sull’anello di ghiaccio per veder sfrecciare quei missili su due pattini. Un mare orange copriva le tribune, una distesa olandese di magliette, cappelli, sciarpe pellicce, berretti, camicie, parrucche, bandiere, pupazzi, palloncini… con birra che scorreva a fiumi e inno nazionale olandese suonato dalla fanfara accorsa per l’occasione. E immersi in quell’oceano arancione c’erano i nostri quattro protagonisti con le loro bandiere italiane. Sport duro il pattinaggio, spingere lame affilate come coltelli a 60 km/h su un ghiaccio liscio come olio, finché i polmoni e le gambe ti scoppiano. Ad ogni passaggio dei pattinatori in gara le tribune tremavano, un boato continuo spingeva gli atleti fino all’arrivo. Poi è sceso sul ghiaccio Enrico Fabris. Silenzio. Bang! Le urla del pubblico a spingere i primi passi di spinta. I nostri quattro ragazzi, con il cuore in gola e con gli occhi fissi sulla pattinata armonica del pattinatore italiano, aspettando la sua progressione finale… che puntualmente arriva, ed è devastante per gli avversari. L’ultimo giro vissuto con il cuore in gola, attingendo alle ultime riserve di fiato per incitare il pattinatore vicentino. Boato. Primo posto parziale con un tempo da podio. I tifosi olandesi rivolgono gesti di assenso verso i nostri quattro ragazzi, è un segnale certamente incoraggiante. Fabris invita alla calma, la gara è ancora lunga. Le batterie rimanenti, con gli avversari più pericolosi, sono vissute in apnea, scandendo a voce gli ultimi secondi di gara, quasi per voler accelerare lo scorrere del tempo. Ultima batteria: in pista ci sono due statunitensi, Shani Davis e Chad Hedrick, i due pattinatori finora più forti di quell’olimpiade, già vincitori di un oro ciascuno. Le ginocchia fremono mentre i due americani fanno segnare tempi di passaggio velocissimi, ma si spera che la progressione fortissima di Fabris negli ultimi due giri sia sufficiente per recuperare. Nel rettilineo finale il tempo sembra non passare più, pare quasi di poter contare i centesimi che scorrono sul tabellone luminoso. Il cronometro si arresta… sedici centesimi… ma con il segno “+” davanti. Fabris è campione olimpico. La tensione si tramuta in una felicità esplosiva, c’è spazio solo per urla a squarciagola e per gli occhi imperlati di lacrime di gioia. La folla olandese, uscita senza medaglie, mette da parte l’amarezza del risultato deludente del loro sport nazionale e festeggia una gara bellissima, complimentandosi con strette di mani, pacche sulle spalle, abbracci e sorrisi con quei quattro ragazzi. Sì, non c’erano più dubbi, quelle erano veramente le Olimpiadi. Sembrava quasi di poter toccare lo spirito di Olimpia, quello spirito vissuto naturalmente anche dagli atleti in gara. Anche di questo quei quattro giovani ne avevano avuto testimonianza poche ore prima. Precisamente durante la partita di hockey Italia-Svizzera, confronto che ai fini della classifica non contava nulla per la nazionale nostrana, già fuori dai giochi per la qualificazione ai quarti di finale. Ma i nostri giocatori hanno messo il cuore sul ghiaccio, lottando su ogni disco, distribuendo spallate e incidendo con ogni forza il ghiaccio sotto i pattini. Volevano dimostrare che si erano guadagnati sia quelle Olimpiadi che il calore del pubblico. Il giudizio di chi scrive è che il loro intento sia stato appieno raggiunto. Applauso. In quella giornata magica, i nostri quattro protagonisti hanno incontrato Torino; la Torino dei torinesi che, descritti come diffidenti alla vigilia della cerimonia di apertura, nelle giornate dei Giochi erano affamati di Olimpiadi, ansiosi di espandere il più possibile i polmoni per respirare tutta quell’aria a cinque cerchi. Quel giorno di febbraio quei quattro ragazzi hanno avvertito chiaramente quel profumo di gioia, di passione, di fratellanza che solamente le Olimpiadi possono sprigionare. Lo stesso spirito olimpico che ha animato quei quattro ragazzi, come tante altre persone, quando la fiaccola è passata per la loro città, spingendoli a rincorrerla lungo le strade con la schiena percorsa da brividi e il nodo alla gola al pensiero di ciò che quella fiamma rappresentava. Grazie Olimpiadi, Grazie Torino.